Il mio orto degli ulivi

di Stefano Bataloni

Credo che prima o poi nella vita capiti a tutti di  entrare in un “orto degli ulivi”: in una situazione, in un luogo o in un tempo in cui si comincia a penare, si ha paura, si prova angoscia perché si sa che alla fine si andrà incontro ad un dolore o una sofferenza. Quasi mai capita di farlo di buon grado, anzi molto spesso ci si gira a largo; talvolta non si ha scelta.

Duemila anni fa però è accaduto che un Uomo vi sia entrato volontariamente, e da allora nulla è più stato come prima.

Io sono entrato nel mio orto degli ulivi la sera dell’11 agosto 2008.

La settimana che precedette quel giorno, Filippo non era stato bene: aveva avuto febbre, era sempre molto pallido, dormiva a lungo, mangiava pochissimo. Il 10 agosto eravamo stati, io e lui da soli, alla festa di San Lorenzo in una paese sulle rive del Lago di Bolsena ma lui era molto abbattuto, stava sul suo passeggino tenendo in mano un palloncino a forma di dinosauro e guardava con molto poco trasporto le persone del paese che andavano in processione dietro la statua del santo.
Il pomeriggio successivo, rientrato a Roma, accompagnato da mia madre, portai subito Filippo dalla pediatra la quale ci spedì subito al pronto soccorso. Le cose andarono così in fretta che non ci fu il tempo di portare con noi cibo e vestiti di ricambio come si fa normalmente con i bambini piccoli; Filippo arrivò in ospedale a piedi nudi.
L’attesa al pronto soccorso fu lunga e nel frattempo si fece notte; alla fine Filippo fu visitato e gli furono fatti dei prelievi di sangue. Il momento del prelievo fu drammatico e mi catapultò in un mondo che mai avrei pensato di conoscere fino ad allora: era ancora un bimbo piccolo, con piccole vene, il suo sangue era evidentemente troppo denso; per lo sforzo e per il pianto in breve le sue braccia e il suo volto si riempirono di petecchie.
Dopo alcune ore fui chiamato dalla dottoressa di turno, la quale si fece trovare accompagnata da altri medici (imparai col tempo che quello non è mai un buon segno) e mi parlò degli esiti degli esami. Mi disse che Filippo aveva una “leucosi”; pur avendo studiato un bel po’ di biologia lì per lì non capii proprio cosa volesse dire. La dottoressa poi mi spiegò che Filippo aveva troppi globuli bianchi nel sangue, quasi certamente si trattava di leucemia. Allora capii. Fu quello l’attimo in cui entrai nel mio orto degli ulivi.

Come si affronta una cosa così?
In quei momenti, quella sera, devo dire che il ricordo di Colui che per primo entrò volontariamente in quell’orto era piuttosto vago.

Ricordo però che dopo un po’ che avevo parlato con i medici, mentre ancora cercavo di prendere confidenza con quanto stava accadendo, mi ritrovai in una stanzetta del pronto soccorso in attesa di essere ricoverato in reparto, Filippo dormiva su un lettino, nella penombra; piangevo accanto a lui ma mi venne spontaneo dire: “Guardalo Signore, hai fatto un capolavoro. Sono stati 2 anni meravigliosi. Grazie.” Forse solo con la mente, non so dire se anche con il cuore, avevo già fatto mio quel “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” che fu pronunciato duemila anni fa nel vero Orto degli Ulivi.

Dopo di quella sera la paura e l’angoscia per il dolore a cui pensavo sarei potuto andare incontro, con alti e bassi, non mi lasciarono più ma poi ci furono altri momenti importanti, altri passi verso la comprensione di come poter affrontare una prova così grande.

Eravamo tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, Filippo aveva già avuto una prima recidiva di malattia ed era andato incontro anche a un primo trapianto di midollo osseo. A novembre, la malattia era tornata di nuovo. Se le speranze di guarigione dopo il primo trapianto potevano ancora essere incoraggianti, dopo una seconda recidiva erano ridotte a veramente poca cosa. Io e Anna cademmo in uno sconforto che difficilmente può essere raccontato a parole, eravamo praticamente certi che Filippo non avrebbe avuto molte probabilità di vivere ancora a lungo. Ci aggrappammo comunque alla possibilità di sottoporlo ad un secondo trapianto di midollo, ma ricordo benissimo che affrontammo quel periodo praticamente “spompati”. Non c’era quasi più traccia di quell’abbandono quasi totale alla volontà di Dio che sembrava tanto forte in me quel 11 agosto del 2008.

Poi accadde qualcosa, subito dopo il trapianto Filippo ebbe una polmonite terribile, il polmone sinistro praticamente non funzionava; Filippo aveva fatto il trapianto il 31 gennaio, poi era comparsa la febbre. Il 9 febbraio la TAC aveva mostrato la polmonite, e i medici avevano dichiarato la situazione critica: era in aplasia totale e non aveva armi per combattere l’infezione. Filippo soffriva molto, assumeva 3-4 antibiotici diversi al giorno, il primario definiva quella situazione “silenzio respiratorio”. Ci fu un momento in cui sia io sia Anna fummo autorizzati a stargli vicino nella stanza sterile: per alcuni giorni, contro tutte le regole del reparto, dormimmo entrambi insieme a Filippo.

In quei giorni si strinsero intorno a noi tantissime persone, in moltissimi pregarono per noi e per Filippo e ricordo bene che alcuni chiesero apertamente a Dio il miracolo, che facesse guarire il nostro bambino da quella polmonite. Io rimasi colpito di fronte a tanto calore: nonostante la situazione fosse davvero critica, una situazione che in cuor mio non aveva alcuna speranza di risolversi per il meglio, c’era comunque qualcuno che non si arrendeva affatto e senza alcuna esitazione non si limitava solo a quel “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”, come sostanzialmente stavo facendo io, ma chiedeva con forza che la vita di Filippo fosse risparmiata.

Il miracolo (almeno noi così l’abbiamo vissuto) avvenne.

Il 12 febbraio, la domenica della nevicata a Roma, Costanza Miriano portò un’immaginetta di Giovanni Paolo II con una reliquia di un suo vestito ad Anna (la reliquia arrivava addirittura dal Giappone). Pochi giorni dopo, ancora una volta infrangendo ogni regola del reparto trapianti, riuscimmo a far entrare nella stanza di Filippo un sacerdote, con una reliquia del sangue di Giovanni Paolo II, e un’amica. Ci fu un momento di raccoglimento e di preghiera; anche le infermiere di turno presero parte a quel momento. Dopo alcuni giorni Filippo era fuori pericolo.

Ma il miracolo più grande, oggi me ne rendo conto, fu che io compresi in quel momento che non dovevo più pregare solo con quel “…non come voglio io, ma come vuoi tu!” ma anche e con un convinto “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!”, esattamente come fece Gesù nel suo Orto degli Ulivi.

Forse troppo ingenuamente o superficialmente c’era stato il mio abbandono iniziale alla volontà di Dio; pensavo davvero di essere in grado di abbandonarmi in maniera così totale a quella volontà quando Gesù stesso, Dio in persona, di fronte alla sofferenza aveva chiesto di poterne essere liberato?

Scioccamente e per lungo tempo, credo di non aver pregato con convinzione per la guarigione di Filippo. Avrei forse dovuto rendermi conto che sebbene la sofferenza accompagni imprescindibilmente la nostra esistenza terrena, non possiamo non esserne ripugnati, non possiamo non essere ripugnati dalla malattia di un bambino o dalla sua morte. Non possiamo non chiedere di essere risparmiati dal dover bere quel calice. Forse solo dopo aver chiesto questo, possiamo davvero abbandonarci alla volontà di Dio.

E allora, come si affrontano le prove più dure della nostra vita?
Non penso affatto di poter dare risposte dal valore universale: sono entrato nell’orto degli ulivi che ha accompagnato la malattia di mio figlio e ora ne sono uscito, nessuno forse si salverà per questo. Ho capito però che senza la venuta di Gesù, duemila anni fa, senza il suo essersi offerto volontariamente di entrare in quell’Orto che poi lo ha portato alla Croce, attraverso la quale tutti noi siamo stati salvati, io non avrei avuto alcun appiglio, io non avrei avuto alcun esempio a cui potermi rifare, sarei stato senza alcuna guida.

Senza di Lui, quel 11 agosto 2008 non sarei entrato nel mio piccolo orto degli ulivi ma sarei certamente caduto in un baratro.

8 risposte a "Il mio orto degli ulivi"

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  1. Leggendo, osservo come siete riusciti a cogliere i segni che Dio ha mostrato a voi e la vostra adesione sempre presente sia maturata nel tempo! Il vostro esempio mi e’di aiuto a chiedere che quest’ adesione a Dio a cui voi vi siete affidati con quanta semplicità diventi altrettanto presente nella mia vita ! Grazie

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  2. Il coraggio di chiedere di allontanare il calice, la forza di accettare la volontà di Dio…. Grazie Stefano, grazie per la condivisione, che ci fa riflettere, non so se ci salva, ma comunque ci fa crescere.

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