Era nato da 5 mesi e andammo da don S. prete siciliano, che indossava spesso la talare e celebrava coi merletti, per prepararci al suo battesimo. “Come si risponde alla domanda: per Filippo cosa chiedete alla chiesa di Dio?” – ci domandò. “Il battesimo” – rispondemmo con sicurezza, convinti di sapere bene la risposta.”Dovete rispondere: la vita eterna!” – ribatté lui. Così facemmo, pochi giorni dopo, totalmente ignari della profezia nascosta in quella risposta.
Era malato già da un po’, 2 anni di chemio, un primo trapianto, poi una recidiva e poi ancora chemio. Don S, prete polacco, parroco nella vicina parrocchia di Frascati, che conosceva la nostra storia, ci chiamò. “Venite qui da me, domani. Recitiamo insieme il rosario e affidiamo la vostra famiglia a Maria, madre di Dio.” – ci disse. Accettammo con gratitudine. Da quel giorno la corona del rosario non è mai più uscita dalle nostre tasche.
Dopo il secondo trapianto, le sue condizioni divennero davvero critiche: il suo sistema immunitario era azzerato, la Tac non lasciava scampo, i polmoni erano compromessi, la notte non riusciva quasi a dormire per il dolore, una dottoressa ci disse che poteva finire tutto lì, in poche ore. Don M., il nostro parroco di Roma che negli anni aveva spinto tutta la parrocchia a sostenerci con la preghiera, ci chiamò: “vorrei venire da Filippo e portare la reliquia con il sangue di papa Giovanni Paolo II” – ci disse. Era domenica pomeriggio, un momento tranquillo, quando don M. arrivò con la reliquia; indossò camice, mascherina, calzari, cuffia, si lavò le mani due volte ed entrò nella stanza del reparto di terapia intensiva dove eravamo ad aspettarlo, insieme a tutte le infermiere di turno. Pregammo, invocammo Gesù e Maria, chiedemmo l’intercessione del Papa santo, la reliquia fu appoggiata alle spalle di Filippo, mentre tutti noi avevamo gli occhi lucidi, perché sapevamo che lo Spirito Santo era sceso in quella stanza.
Erano trascorsi pochi giorni da quando i medici ci diedero la sentenza di morte per nostro figlio: dopo il terzo trapianto, dopo una nuova recidiva non c’era altro da poter fare. Don S., prete di origini siciliane ma dall’accento francese, che non ci conosceva bene ma aveva sentito di noi nella nostra parrocchia, venne a trovarci: “vorrei che Filippo ricevesse la Prima Comunione” – ci disse. Esultammo dalla gioia. Lui non era tanto convinto di volerla fare, perché non aveva fatto un giorno di catechismo ma alla fine cedette. Era il 14 settembre, giorno dell’esaltazione della Santa Croce di Gesù: non ci fu cerimonia, pochi amici e parenti ci erano vicini, lui si mise in fila insieme a noi e ricette l’ostia consacrata; non ci fu festa, non ci furono regali, ci fu la Grazia di ricevere un dono che non avremmo mai osato chiedere, ci fu la Grazia di accompagnare nostro figlio, nelle domeniche successive finché fu possibile, al suo incontro con il Salvatore.
Mancavano poche ore, ormai: lui era a letto da qualche giorno senza riuscire ad alzarsi, respirava con grande fatica, ci alternavamo accanto a lui per fargli compagnia, leggergli un libro, cantare una canzone, mentre i suoi fratelli gli portavano i suoi peluche preferiti. Don S. tornò da noi: celebrò la Santa Messa nella sua stanzetta, gli diede l’Unzione degli Infermi e poi se ne andò, lasciando il Santissimo Sacramento sull’altare che avevamo improvvisato per il Santo Sacrificio.
Due giorni dopo, don S. tornò ancora a casa nostra, disse di voler organizzare il suo funerale insieme a noi, scegliere le letture, i canti…
A salutarlo per l’ultima volta trovammo tante tante persone ma le prime lacrime che versai, dopo quelle versate nell’attimo in cui Filippo esalò il suo ultimo respiro, fu quando entrai in chiesa e sull’altare vidi, vestiti di bianco, don S. che lo aveva battezzato, don C. che aveva sposato me e Anna, don M. il nostro parroco e don S. che era stato al nostro fianco in quelle ultime ore. Non fu solo un funerale quello che venne celebrato ma la ricapitolazione della mia storia di salvezza.
Gesti concreti di sacerdoti quelli che hanno accompagnato gli anni accanto a mio figlio malato, che non ci hanno risparmiato la sofferenza e la morte, che non sono stati solo un conforto umano per allontanare la paura o lenire il dolore. Sono stati invece una testimonianza autentica di amore, di vita eterna, di resurrezione, della certezza che la morte non ha l’ultima parola, che la speranza può trovare compimento, che c’è una gioia che viene da Dio e che supera il dolore. Gesti che hanno aperto la strada alla salvezza dell’anima di mio figlio e mia.
In questi giorni di pestilenza le città sono desere, gli ospedali sovraccarichi di malati, le persone soffrono e muoiono sole senza poter ricevere i sacramenti. Tanti sacerdoti, santi, sono rimasti accanto a loro donando conforto e speranza ma perdendo la vita, come Cristo. Tanti altri, invece, sono stati rinchiusi nelle loro canoniche, costretti a guidare e riunire i loro fedeli attraverso uno schermo.
Ripercorro la mia storia e penso che sì, oggi sono diverse le condizioni, oggi è diverso il male che si fronteggia, ma la paura e la sofferenza che si vivono sono le stesse e la stessa è la cura di cui si ha disperato bisogno.
Come faccio ad accettare che a me quella cura sia stata abbondantemente elargita e oggi venga invece negata ai miei fratelli?
Grazie
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Grazie della tua luminosa testimonianza!
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Grazie,
Di questa testimonianza.
Marco, mio marito morto nel 2015 dopo una malattia durata 15 anni..
È stato accompagnato da tanti gesti e il suo funerale, anche nel distacco, l’ho abbiamo vissuto come la manifestazione di una Gioia più grande..
Ora davanti a questa sofferenza di non riuscire a stare vicino ai propri familiari senza funerale..
Non riesco a sentire che una sofferenza profonda, nella Fede di Gesù che dorme quieto sulla nostra barca, per ciò che significa questo tipo di prova nel distacco.Come qualcosa di incompiuto…
Non capisco, ma mi Affido, e mi sento più vicina a tutti..
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Un giorno mi hanno detto: “Qualcuno Dio lo ama di più, ma nessuno di meno…”
Grazie per questa bellissima condivisione.
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Grazie Stefano, molto bello quello che hai scritto e anche la conclusione, ma Dio sa…. ed è un Dio grande, che non fa mancare nulla a chi lo invoca
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L’ha ripubblicato su il blog di Costanza Miriano.
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Grazie. Come mi ha emozionato questa testimonianza. Quanta fede.
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In questo racconto vengono citati 4 preti. Don S. , don C., don M. e don S. Quattro sacerdoti che credono in Dio e nella potenza di quel deposito di fede che é stato affidato alla Chiesa. Quattro sacerdoti che oggi non temerebbero il contagio e farebbero la stessa cosa per quel bambino. Uno di questi quattro porta la reliquia di un santo, cosa che avrebbe devastato la mente di Lutero. Quattro preti autentici , sicuramente peccatori , con le loro concupiscenze e le loro quotidiane disperazioni però quattro uomini di Dio che hanno creduto che ” la carità copre una moltitudine di peccati”, Che questa pandemia e tutto quello che sta soffrendo la Chiesa, anche per le sue responsabilità, riporti luce ai sacerdoti e li rifaccia vicini alla gente , con quell’abbraccio che nulla ha di politicamente corretto ma che é l’abbraccio di Gesù
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Grazie per il dono di questa condivisione.
Ogni parola aggiunta può riuscire irriverente. Mi permetto tuttavia, sommessamente, una considerazione.
Infermità, agonia e morte senza conforto del sacerdote non sono da augurarsi ad alcuno, e addolora volgere il pensiero a tanti fratelli e sorelle che nell’ora della prova estrema e del commiato terreno non hanno accanto il sacerdote e il congiunto.
Ma valga – se possibile – a lenire un poco dolore e angoscia la fede salda in quanto segue: Dio mai permette che Tizio/a si danni a causa di un’omissione, di un’inadempienza, di un difetto di coraggio di un sacerdote o di qualcuno/a che non sia Tizio/a.
A tutto ciò Dio supplisce.
Dio abita anche il silenzio e l’assenza più desolati a viste umane. Ed è sempre giusto e misericordioso, perfettamente, sicché mai c’è motivo fondato di temere che il Suo giudizio sia insufficientemente misericordioso o la sua misericordia manchevolmente giusta (è solo per la nostra piccolezza creaturale e di peccatori che aspramente stentiamo, e sempre almeno un po’ stenteremo in questa vita, a riconoscere che in Dio giustizia e misericordia sono indisgiunte, originariamente e indefettibilmente solidali e conciliate: donde tutta la fatica che facciamo, anche in questi giorni, a osare riconoscere che Dio possa essere misericordioso nell’atto stesso con cui esercita la Sua giustizia).
Ciò dico senza spirito polemico alcuno nei confronti di questo o quel sacerdote, e al contempo – va da sé – senza avallare o giustificare qualsivoglia negligenza o pavidità; preghiamo sempre per la santificazione dei nostri sacerdoti, come Dio vuole, e stimiamoli sempre quali dono prezioso che viene dall’alto.
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Stefano, la tua enorme esperienza di dolore per la malattia, sofferenza e morte di Filippo, non ti ha reso freddo ma ancora più sensibile: dimostri un’infinita generosità. Ti ammiro molto.
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@Elisabetta
Sì dice che da una profonda ingiustizia quale potrebbe essere, ad esempio, la perdita di un figlio, possa nascere un gran bene o un gran male: i confini sono assai labili.
Succede però (non sempre, invero), che taluni, sicuramente illuminati e forse prescelti dal Signore, riescano, non senza abnegazione, comprendere il misterioso disegno di Dio nei loro confronti e compiere il salto oltre il buio della sofferenza inflitta.
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