Parole di speranza per una mamma che ha perso la sua bambina

Copio questo articolo dal sito di Aleteia, un articolo commovente e profondamente vero, scritto da una mamma per un’altra mamma, per tutte le mamme. Credo proprio che non abbia bisogno di commenti.

di Paola Belletti

Ho visitato il suo blog, implorando me stessa di non essere indelicata, nemmeno per un istante, nemmeno con lo sguardo né coi pensieri. Pregavo che non fossero sciatti, o leggeri; o troppo grevi. Magari giudicanti. Segretamente sollevati?

Volevo essere ridotta quasi a niente per poter leggere, col rispetto dovuto, inchinandomi in silenzio al dolore della mamma, queste pagine. Questi byte, che sono invece lettere d’amore scritti con le lacrime e il sangue. Ho cercato di entrare in ginocchio per contemplare e com-patire nel senso più etimologico e umile che mi è possibile. Ho cercato di posare gli occhi piano, su racconti e immagini. Ho saputo della morte, e a causa di quella, della vita di questa bimba, “la piccola aliena”, dal sito del Corriere della Sera.

Francesca è la nipotina di Laura Pausini. Ed è proprio la zia, (questo credo sia per lei ora il titolo che si vuole le venga riconosciuto)  ad annunciare sui social che Francesca è deceduta.

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La mamma Roberta ha un blog. Si chiama Pianeta1P36. Come la malattia rara che ha vinto la breve vita di sua figlia. E lì, su quelle pagine pulite e ben scritte, ha accettato che noi, gli altri, guardassimo come in uno specchio, il suo dolore innamorato. Il suo cuore spezzato e fortissimo che ama – continua a farlo – la figlia nata con una grave patologia genetica.

Il post del 16 aprile 2017 è il saluto straziato eppure composto alla sua bella creaturina. Sono dieci capoversi. Sembra una breve filastrocca, senza rime. E, in fondo, senza una vera fine.

Come capisco, intuisco e temo, nella mia stessa carne, cosa la strugga così tanto! Quanto le manchino già i profumi, i suoni, i piccoli gesti che sua figlia sapeva fare. Quanto le manchi la sua presenza. Così fragile e potente. Così totalizzante. Che ha cambiato così tanto e così tanti.

Come la capisco. E tremo al pensiero… Sì. Si può perdere un figlio. E tra i dolori e le sofferenze. I suoi. E il tuo, di dolore. Che è dover assistere, consolare, accarezzare il suo. E lasciarglielo vivere. Attraversare. Sì, si può attraversare una terra così aspra e desolata. Sì. Si può finire sotto un cielo fatto di piombo. Buio e freddo. È così. Da che mondo è mondo. Da che madre è madre.

Quello che resta a me, soprattutto, dell’esperienza di questa mamma è il viaggio. L’idea, che lei, con una mirabile, profondissima intuizione ha reso come una favola, che la bimba venisse da un altro posto e che lì sia ritornata.

Credo che questa sua immagine, coltivata, arricchita nei mesi, nei brevi anni di lei con loro, fatti di visite, controlli, consulenze, ricoveri, corse in ambulanza, valigie imperfette, progressi, regressi, momenti di pericolo acuto e di tremolante normalità, di gioia per la seduta spaziale appena arrivata (…ora te lo dico, cara Roberta. Anche mio figlio all’asilo usa l’Abbraccio, la stessa seduta, anzi scusa lo stesso sistema posturale su base da interni che aveva la tua Francesca. E i suoi compagni la chiamano, da subito, la “sedia spaziale”) sia la custodia, lo scrigno, meglio, di un diadema, di un tesoro dal valore inestimabile.

L’ultima riga del saluto a Francesca, staccata dal penultimo paragrafo, se ne sta lì a dire una cosa potente e decisiva.

Se ne sta lì come una speranza intuita. Come un seme piantato che già butta germogli. Ed inizia con una delle mie sillabe preferite. Inizia con una congiunzione. Avversativa. Sì, si pone in faccia al resto. Sembra una sconfitta ed una resa ed invece ha il rumore della pietra che rotola via dal sepolcro.

Ma da oggi, purtroppo,  la nostra avventura terrena si ferma qui.  

Dice terrena. Non terrestre. Chissà che non sia un caso. Chissà che nemmeno la data sia stata un caso: è morta proprio il giorno di Pasqua che è il giorno in cui “morte e vita si sono affrontate in prodigioso duello” e ha vinto il Signore della vita, come recita la Sequenza pasquale, ogni volta riempiendomi di gioia.

Le auguro, anzi prego, che possa scoprirlo, se ancora non è così. E piano piano questa notizia, la più buona che sia mai corsa di bocca in bocca, da quando l’uomo esiste, possa rendere la mestizia del non avere più la figlia vicina quasi dolce. Almeno più lieve, perché certa.

Sì. Certa che quella bambina è bambina di Dio, innocente e ora salva, al sicuro. Ora è davvero tornata al suo vero pianeta. Che è anche il nostro. Lei ci ha messo meno di 36 mesi. Ad altri ne toccheranno un migliaio? Non importa, cambia poco, in sostanza. Siamo anche noi bambini. Anche da vecchi. Da morenti stiamo quasi per nascere, finalmente!

Cristo è veramente Risorto. Voglio dirlo a questa mamma. Voglio dirlo come posso.

Mi piacerebbe tanto, adesso, essere il post it giallo sul frigo che glielo ricorda, in mezzo alle altre cose.

Soprattutto ora. Soprattutto adesso che ha il dolente privilegio di avere vissuto una prova del genere che renderà difficile, forse impossibile, distrarsi dall’essenziale. Renderà urgente come respirare chiedersi e sapere che fine facciamo.

Ci sono storie e storie. Favole che leggiamo e storie che leggono noi. La storia di Gesù Cristo è vera. Ed è la sola notizia che dobbiamo lasciar correre ancora e di nuovo di bocca in bocca. Che passi per il mondo, tra padri e figli, tra tutte le madri che stanno sotto nuove croci, che passi e ricordi a tutti, uno per volta, che siamo figli e che nostro Padre è vicino. E che le pietre rotoleranno via.

Una risposta a "Parole di speranza per una mamma che ha perso la sua bambina"

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  1. In comunione di preghiera:
    C’è in ogni cuore trafitto una preziosità che non va né trascurata, né evitata, né banalizzata, né rimossa.
    E’ il cuore stesso di Maria, fonte zampillante di vita nuova, causa della nostra gioia (causa nostrae laetitiae), che dona a noi il suo bene più grande, il suo Gesù.
    Se la famiglia è una piccola chiesa domestica, come ha sottolineato Giovanni Paolo II, una famiglia colpita da un lutto tanto grande è un piccolo “tabernacolo vivente” che custodisce gelosamente l’Ostia santa e immacolata che si dona a noi, il dono si fa Eucaristia, bene di Grazia.
    Ogni volta che una mamma, un papà, una sorella, un fratello, un “povero più povero”, cioè privato del suo bene più caro, mi si accosta e mi apre il suo cuore trafitto, stanco di lacrime, mi prostro in silenziosa adorazione davanti all’Ostia che da quel tabernacolo si fa visibile.
    E ogni volta che qualcuno ravviva la mia ferita, si ravviva anche il miracolo della Sua Presenza e la ricchezza che porta con sé.

    (da IL BENE PIU’ GRANDE di Andreana Bassanetti)

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