di Stefano Bataloni
Oggi comincia una nuova Quaresima, un nuovo tempo per riflettere, pregare e depurarci dagli eccessi e le uscite di strada della nostra vita, in vista del nostro essere nuovamente ri-creati con la Pasqua di Cristo.
Pochi giorni fa ho ascoltato una bella catechesi in cui si è parlato del digiuno, che assieme alla preghiera e all’elemosina, è una delle azioni che i padri della Fede suggeriscono di condurre nel corso della Quaresima.
Il digiuno, spiegava il sacerdote, come strumento per contrastare il peccato della gola, quel moto compulsivo, fino talvolta all’ossessione, che ci induce a trovare continui espedienti (come il cibo) per appagare le nostre frustrazioni, conducendoci però al punto di allontanarci completamente dalla realtà.
Il digiuno, che non è solo una banale negazione dei piaceri, è il fare spazio per trovare un cibo migliore, uno modo per restare lucido e far arrivare al cuore la parola di Dio; il digiuno, vissuto così, ci riconduce alla realtà, ci aiuta a tuffarci in essa e ci consente di arrivare davvero all’altro, al nostro prossimo.
All’inizio, certamente, trovare questo spazio è dura, perché troppo forte è il legame ai nostri piaceri e alle nostre comodità, quasi del tutto accecata è la nostra mente sulla realtà e sulle persone che ci circondano.
Non avevo riflettuto ancora, fino ad oggi, su quale profonda e autentica esperienza di digiuno io abbia vissuto negli anni di malattia di Filippo.
È stato un digiuno difficile da sopportare agli inizi, come è ovvio che fosse, e in diverse occasioni negli anni successivi: rinunciare più e più volte a quel cibo appetitoso e succulento che erano le comodità di casa, la serenità di un futuro tranquillo, il viaggiare e fare vacanza con Anna e i bambini, lo shopping, gli amici…è stata molto dura.
Non che quei cibi fossero cattivi o facessero male al corpo: anche quelli servivano, ma erano “solo pane” ed è sempre stato molto facile illudersi di poter vivere unicamente di quelli.
Ma il fare spazio tra me e questi cibi in quegli anni, dapprima in maniera un po’ forzata e poi, col tempo, in maniera più consapevole e accondiscendente, mi ha riportato alla realtà: c’era davvero un Cibo migliore rispetto a quelli. C’era la parola di Dio che mi dava conforto, c’era una preghiera autentica, quella che chiede la vita, che chiede conversione, che ringrazia con cuore sincero.
In quello spazio ho potuto finalmente vedere con lucidità e ho trovato Filippo e Anna e Francesco, e poi Giovanni, nel loro essere doni del Cielo e strumenti per la mia salvezza. Con quel digiuno ho trovato speranza di fronte al dolore che non trova spiegazione. Quale cibo migliore di questo può mai esserci?
Ho mangiato quel cibo buono, ne ho ricordo. Ora però ho ancora fame di quel cibo e ho bisogno di fare ancora digiuno.
Come sempre sono un balsamo le vostre riflessioni .
Un abbraccio
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Grazie, per me queste parole sono di vero aiuto
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….aspettavo questo vostro post perchè ne avevo davvero bisogno.
Grazie.
Grazie di cuore.
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Questo digiuno che ci insegna a comandare il nostro corpo e non dalle necessità del nostro corpo (anche quelle lecite) essere dominati.
Questo digiuno che ci mette in tensione, dimentichi del cibo che perisce, ci volgiamo a “il cibo migliore”…
«Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Giovanni 6,58
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