Isacco e la felicità

di Anna Mazzitelli

La felicità di Anna e Stefano?

Si chiede, e ci chiede, una persona che legge il nostro blog, e che ci ha spesso scritto.

Dopo gli ultimi post non ha più potuto tenere per sé questa domanda, e ce l’ha posta scrivendoci una lettera di getto e col cuore in mano, nella quale si percepisce appieno la sua angoscia nei nostri confronti (e nei suoi), nei confronti del nostro rapporto con la felicità.
Cita varie cose dette da noi nei post passati, e riconosce che ci può essere pace, affidamento, serenità e assenza di disperazione, pur in una situazione come la nostra.

Ma la felicità?

Un conto è accontentarsi, un conto è essere contenti.
Un conto è non essere disperati, un conto è essere gioiosi.

Io e Stefano abbiamo passato gli ultimi due giorni ad un ritiro spirituale assieme alle coppie della parrocchia, con le quali durante l’inverno abbiamo fatto un cammino, alcuni incontri formativi e di confronto.
Se il cammino è stato bello, il ritiro è stato fondamentale.

L’argomento era centrato su Abramo, al quale viene chiesto di lasciare la sua terra e tutto ciò che ha in vista di una promessa non meglio identificata, almeno all’inizio. Abramo si fida e parte.
Poi la promessa diventa la promessa di un figlio, di una discendenza. Ma Abramo è vecchio e sua moglie pure.
Malgrado Abramo si fidi, ne combina di tutti i colori, fino a farsi convincere dalla moglie a fare un figlio con un’altra.

Alla fine, però, Dio è fedele alla sua promessa, Sara rimane incinta e nasce Isacco.

Catechesi a non finire su Isacco e Ismaele, su come riconoscere il bene e il non-bene, messe, vespri, condivisioni, riflessioni, fino a stamattina, quando Don Emanuele, il sacerdote che ha accompagnato il nostro cammino, ci ha spiegato il brano del sacrificio di Isacco (Genesi 22).

Abramo finalmente è felice, si è finalmente compiuta la promessa di Dio, Abramo ha un figlio, la sua discendenza è possibile. Isacco per Abramo rappresenta tutto, è il Dono di Dio, tutto quello che Dio gli ha promesso si è realizzato in Isacco.
E Dio che fa? Gli chiede proprio quel figlio.

Ma cavolo, dai, non può essere vero!

Abramo viene messo alla prova là dove è la sua più grande paura: quella di perdere suo figlio. Don Emanuele ci ha spiegato che Dio ti mette alla prova sempre in questo modo, ti fa entrare nelle tue paure per darti la prova del modo in cui Lui tiene a te.

Per Abramo, Isacco rischia di diventare una prigione, Dio glielo chiede indietro per fargli scoprire il suo rapporto con Lui, per farlo camminare verso di Lui. Isacco non è per Abramo, è per far entrare Abramo in relazione con Dio.

Ok, bellissima catechesi, ora pensate ai vostri “Isacco”. Un’oretta di riflessione.

Va bene, Signore, tu mi hai dato il mio Isacco, poi me l’hai chiesto indietro, e io mi sono abbandonata alla tua volontà. Però la differenza è che Abramo ha sacrificato un ariete, io mio figlio l’ho visto morire veramente. Isacco è sceso dal monte con Abramo (benché non venga più nominato), io il mio bambino non ce l’ho più.

Però ho messo i pezzi al loro posto, pezzi che tentavo di incasellare da quando Filippo si è ammalato, e che a volte mi riusciva meglio, a volte per niente, e ho capito questo:

Da quando ero ragazzina la mia paura più grande è stata quella di perdere un figlio. Quando avevo 16 anni un mio amico ha avuto un incidente con la moto ed è morto sul colpo. Vedere sua madre straziata ha fatto sì che quella fosse la mia paura più grande, da sempre.

Poi, quando Filippo si è ammalato, perderlo sul serio era diventata una possibilità reale, con la quale fare i conti veramente, non solo durante incubi notturni o in trip depressivi legati a sbalzi ormonali.

Vedere in ospedale le mamme dei bambini, amici di Filippo, che non ce l’hanno fatta, è terribile, e questo ha sempre alimentato la mia paura di perdere mio figlio.

Quando, dopo l’ultima recidiva, ho capito che quella non era più solo un’eventualità ma era diventata la realtà, ho capito che la mia paura più grande non era perdere mio figlio, ma era perdere Dio, a causa della perdita di mio figlio.

E quel giorno, sul divano, quando in preda a dolori che non si riuscivano a gestire in nessun modo, Filippo mi ha chiesto: “Mamma, ma quando mi passano tutti questi dolori, tutte queste cose?”, io gli ho risposto: “Filippo, non so rispondere a questa domanda, non lo so quando ti passeranno tutte queste cose. Però se non ti passano, te ne vai subito in Paradiso, va bene?” e lui mi ha detto: “Va bene”, ho capito che in quel momento avevo consegnato il mio Isacco al Dio che me lo stava chiedendo, avevo preparato la legna, l’avevo posto sull’altare e stavo aspettando che se lo portasse via.

E la paura di lasciarlo andare, di perderlo, non c’era più, era stata sostituita dalla paura di perdere il mio rapporto con Dio.

Ma Dio, così come ha dato ad Abramo la sua discendenza, ha concesso a me di non disperarmi, di non allontanarmi da Lui, non mi ha lasciato andare, e quotidianamente sperimento il miracolo che Lui compie per me.

E questo non significa che non ci sia dolore, che non ci sia senso di vuoto, nostalgia, mancanza. Il dolore, il senso di vuoto, la nostalgia, la mancanza ci sono tutti, pieni, completi, tali e quali a quelli che ci sarebbero stati se non mi fossi fidata e affidata.

Ma accanto a tutto questo c’è anche la Sua consolazione, che non so spiegare, ma che mi permette, malgrado tutto, di essere felice, e di sorridere quando penso a mio figlio.

Quindi, caro Maurizio, la felicità è possibile, ti assicuro, la fiducia nel futuro, la speranza, la pace sono tutte cose possibili. E anche quando ci sembra irragionevole, anche quando ci sembra al di là delle nostre capacità, offrire il nostro “Isacco” a Lui è l’unica strada per raggiungerle.

Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo (Sal 125).

 

10 risposte a "Isacco e la felicità"

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  1. È vero sono stati due giornate fondamentali. Un vero appuntamento con la felicità.
    Sicuramente non te l’ho mai detto ma ti e vi dico grazie per la vostra testimonianza autentica e trasparente.
    Grazie!

    Marco

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  2. Grazie, Anna, per questa tua condivisione così profonda e così sincera.E benedetto il Signore che vi illumina e vi sostiene affinché voi possiate illuminare altri.
    Buona giornata e buona settimana!
    Francesca

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  3. Come sempre le vostre riflessioni sono fondamentali ..tanto che io le stampo alcune per non perderle ..perchè parlando DIo di Filippo del vostro amore fate del bene a tantissime persone invitandole a riflettere .
    Grazie sempre

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  4. Grazie! Smack! 😀
    Approfitto per chiedere preghiere per me: ho una decisione molto importante da prendere e le contrarietà sono tante. Grazie di cuore!

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  5. Non voglio certo fare il “bastian contrario”, ma bisogna anche porre una certa attenzione a non cadere nel facile assioma Abramo>Isacco / Madre-Padre (io-tu)>Figlio nostro…

    Voglio dire che non è che la chiave di lettura sia sempre applicabile alla nostra vita solo perché le figure coinvolte appaiono sovrapponibili… si potrebbe incorrere in una serie di errori o nelle giusta domanda: “Ma perché Abramo ha “ri-avuto” il figlio Isacco e io no?”

    La corretta chiave di lettura è stata qui (e al ritiro mi pare di aver capito) data:
    Dopo averlo tanto desiderato, Isacco stava rischiando di divenire per Abramo “il tutto”, rischiava di prendere il posto di Dio. In poche parole di divenire per Abramo un “idolo”…

    Quando Abramo alza già il coltello, nel suo cuore e con un atto concreto, già ripudia quest’idolo, lo “offre” a Dio, non perché Dio ne abbia bisogno, ma perché Abramo ha bisogno in sé di riconfermare la Fede nel Dio che lo ha fatto uscire da Ur con una promessa umanamente inverosimile.

    Se non è questa la situazione del nostro cuore, del nostro animo, nei confronti di un figlio, di un affetto, a volte persino di un semplice progetto, non è detto che perché le situazioni paiono “simili”, la risposta sia la stessa… Ciò che è certo è che è una Prova per la nostra Fede.
    Ciò che è certo è che se ci faremo un idolo (di quel che sia), Dio ci chiederà di rinunciarvi, di porlo “sull’altare del sacrificio”, perché è un Dio geloso, ma soprattutto perché ci vuole LIBERI e gli idoli, prima o poi ci rendono schiavi e “ci presentano il conto”.

    Nella schiavitù, non c’è né felicità né Gioia, quella di essere nella Libertà di dire “Padre sia fatta la Tua Volontà”… ecco la risposta a chi chiede “come può esserci felicità?”
    La felicità è uno stato effimero… la Gioia è un dono profondo che Dio elargisce ai Suoi Figli anche laddove gioia umanamente non potrebbe esserci.
    La Gioia che viene da Dio, quella che si sperimenta anche nel Sacrificio, resta come un “memoriale” a cui attingere nei momenti di sconforto.
    A molto a che fare con l’Amore, un balsamo per il cuore anche quando questo è trafitto, perché sapere, avere la certezza di essere amati sempre e comunque, è ciò che da la Gioia nella Speranza.

    (@Angela, una preghiera assicurata)

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    1. Caro Bariom, fai pure il bastian contrario tutte le volte che lo ritieni giusto: non si arriva a comprendere la verità che insieme.
      Non c’è però stata, nella riflessione di Anna (e lo dico perché questo post è frutto di una meditazione che abbiamo condiviso domenica mattina), confusione tra la figura di Isacco e quella del nostro Filippo: non c’era intenzione di domandare perché Isacco è stato risparmiato e Filippo no; non c’era risentimento per questo (anche perché di figli “risparmiati” ne abbiamo visti davvero tanti!)

      Abbiamo visto invece analogia sulla possibile idolatria nei confronti del figlio prediletto, nel figlio promesso; abbiamo visto l’analogia tra l’abbandono di Abramo al sacrificio di Isacco e l’abbandono, compiutosi quella sera, sul divano di casa nostra, nei confronti della nascita al cielo di Filippo. Abbiamo visto analogia sul sacrificio della paternità in favore del rapporto filiale con Dio.
      Scoprendo, alla fine, come Abramo che da quel sacrificio nasce la gioia, che solo Dio può donare.

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      1. Caro Stefano, non avevo dubbi su vostra personale interpretatazione e non vorrei prorpio dare l’impressione di chi “mette i puntini sulle i” dell’esperienza altrui.

        La mia era una riflessione di senso generale che si fonda sulla mia stessa esperienza personale, perché anche non trattandosi di un figlio, c’è sempre il momento dell’ Amen, dell’abbandono (come per voi quella sera, per me in una notte), dell’abbracciare l’idea che coloro che Dio ci ha concesso di amare, tornino a Dio, nell’attesa e nella speranza di rincontrarci.

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