Per nonno Davide

Torno a pubblicare una lettera di mio zio. Come la precedente, anche questa è indirizzata a Filippo ma stavolta porta con sé una richiesta, quella di recapitare ad un papà una lunga lettera, accorata e struggente, che ripercorre una storia di altri tempi, la storia di una persona umile e buona, di cui conservo un vago ricordo, ma che analogamente a Filippo ha attraversato sofferenze e difficoltà per insegnarci cos’è l’Amore, quello con la A maiuscola.

di Mauro Piermattei

21 Febbraio 2015

Oggi sono 3 mesi che il Signore ti ha chiamato a sé e ancora non riusciamo a sentire la tua mancanza.

La tua immagine e le tue espressioni sono ancora presenti fra noi e le manifestazioni della tua lotta per contrastare il tuo male sono così vive che non lasciano altro spazio nei nostri cuori.

Il nostro conforto vive nella gioia di saperti investito dalla Grazia del Signore e percepiamo la purezza della tua anima che volteggia tra i tuoi genitori e i tuoi fratellini. La serenità che li avvolge è la chiara dimostrazione del manto di protezione che la tua anima è distesa su di loro e si diffonde su tutti quelli che ti hanno amato e continuano ad amarti sulla terra.

Con amore permettimi di avvicinarti la mia anima, nella gioiosa speranza di un incontro spirituale.

Benedetto sei Tu in Cielo.

Lode a te o Cristo.

P.S. Nella tua Grazia, vorrei esprimerti un desiderio che, sono sicuro, Tu vorrai esaudire:

Il 29 dicembre 2014 si è commemorato il 25° anniversario della morte di mia madre e quindi il suo ricongiungimento con mio padre, e sarei felice di immaginare questo giorno come voler celebrare le loro nozze d’argento celesti.

Per questa occasione ho scritto una lettera a mio padre con il quale avevo un rapporto sublime, per fargli sapere quanto ancora è vivo in me l’amore e il ricordo di lui.

Ti rivolgo una preghiera affinché Tu possa consegnargliela.

Il 29 dicembre è anche l’onomastico di mio padre, Davide, mentre oggi (21 febbraio) cade quello di mia madre Eleonora.

La Grazia Divina è con te, angelo del Signore.

Zio Mauro.

Ciao Papà,

il giorno che ho saputo del tuo male e ci hanno detto che avevi pochi mesi di vita, mi sono sentito gelare il cuore e mi sono reso conto di quanto Tu fossi importante per me.

Da quel momento ho cercato di esserti più vicino possibile, con ogni mezzo, scambiandoci ogni volta il desiderio di venire a vivere per un po’ di tempo con noi a Catania, una volta completate tutte le terapie.

Non parlavamo di altro.

L’operazione che ti hanno fatto aveva l’unico scopo di recidere alcuni nervi per non farti sentire dolore in seguito, ma tutti gli esami ai quali ti sottoponevi davano come risultato che Tu dovevi essere già morto e nessuno si spiegava come mai non fosse così.

Ti hanno sottoposto a una lunga terapia, ultimo ritrovato della scienza medica di allora, che all’ultimo non aveva cambiato niente.

La spiegazione che poi ci hanno e ci siamo dato è che era talmente forte il tuo desiderio di venire a Catania e stare con me e la mia famiglia, che superava qualsiasi terapia che la scienza medica metteva a disposizione.

Sì, perché tutti gli esami ai quali ti sottoponevano, continuavano a confermare che era impossibile che Tu fossi ancora in vita.

Completati tutti i cicli e finalmente libero da impegni, sono passato per Roma e tutti insieme siamo andati a Catania in vagone letto (per te e Mamma era la prima volta).

Siamo arrivati la mattina del 18 marzo. Il 19 marzo abbiamo organizzato una cena memorabile – in occasione della festa del papà – presso un ristorante.

Qualche giorno dopo, chiamato da quel senso del dovere che Tu mi hai insegnato, sono partito in nave per Malta, imbarcandomi a Siracusa, così avremmo potuto fare una passeggiata con tutta la famiglia e, Tu alla guida, sareste tornati a Catania.

E così è stato. Avrei potuto rimandare i miei impegni ma nulla faceva presagire cosa riservava l’immediato futuro.

Dopo qualche giorno Gina mi telefona e mi dice, con una certa gravità, che Tu ti sei sentito male e il dottore intervenuto disse che era meglio che ti portassero in ospedale. Ho tentato di prendere la prima nave per rientrare ma il maltempo non permetteva le partenze. Mi tenevo costantemente in contatto telefonico direttamente con il reparto dove eri ricoverato per aggiornamenti mentre la tua situazione si aggravava. Aerei, che tra l’altro non potevo prendere a causa di una recentissima operazione all’orecchio, non c’erano prima di domenica 27 marzo.

Sabato 26 marzo – tarda mattinata mentre facevo l’ennesima telefonata e parlavo con un mio venditore, che era stabilmente davanti al telefono per rispondere alle mie chiamate, ha preso il telefono Gina che mi ha detto: “VIENI PRESTO, MA CON CALMA, PERCHE’ PAPA’ E’ MORTO IN QUESTO MOMENTO TRA LE MIE BRACCIA”. Inebetito e sconcertato, aiutato dal mio collaboratore maltese, ho preso un aereo con disponibilità soltanto il pomeriggio del giorno dopo – domenica delle Palme – mandando in fumo la mia operazione all’orecchio, per poterti vedere l’ultima volta, freddo più della lastra di marmo dove eri disteso…

PERDONAMI! PERDONAMI TU, PAPA’, PERCHE’ IO NON RIESCO ANCORA A PERDONARMI.

“LA SAPIENZA RENDE GLI UOMINI CELEBRI. LA BONTA’ E L’UMILTA’ LI RENDE IMMORTALI. QUI GIACE UN UOMO BUONO E UMILE”.

Ho fatto incidere queste parole sulla tua lapide, ma non avrei mai potuto immaginare quanto rispondessero a verità. Sì, perché, da quel momento, volta che passavo da Roma, mi era impossibile pensare a qualsiasi cosa se prima non venivo davanti alla tua tomba e in silenzio, con lo sguardo sulla tua immagine, mille pensieri si rivolgevano a te come in un incontro.

Questo forte impulso è stato vivo in me fino alla morte di Mamma, avvenuta dopo 6 anni, 9 mesi, 3 giorni, il 29 dicembre 1989, giorno del tuo onomastico. La stessa sera, nel rientrare a casa dall’ospedale dove era deceduta, ho sentito un fortissimo desiderio, irresistibile, di entrare in una Chiesa. Ne ho trovata una aperta. Sono entrato e mi sono seduto guardando l’altare. Avvolto dal buio e ascoltando il silenzio che mi circondava, ho ripensato alle ultime ore trascorse. Ho ringraziato il Signore per la Sua volontà espressa e mi sono chiesto se lassù ti avesse incontrato, così da ricongiungervi.

Il giorno dopo eravamo assieme tutti i familiari. Viene da me mia nipote Manuela, figlia di mia sorella, e mi dice che la notte aveva sognato la nonna che aveva incontrato te che portavi la barba ed eri bellissimo.

Il Signore, nella Sua infinita misericordia, si era degnato di darmi una risposta.

Da quel giorno quel forte impulso di venire da te prima di ogni cosa si è attenuato lasciando lo spazio a incontri occasionali, appena possibile.

La causa la ricerco nella convinzione di sapervi uniti. Comunque non passa giorno che Tu non sia nella mia mente.

PAPA’! DIO QUANTO MI MANCHI!

Poco tempo fa ho avuto occasione di aprire la valigia dove Tu conservavi la tua collezione di francobolli. Nell’aprirla ho avuto come una folgorazione. La tua immagine, nell’immancabile divisa da autista, che, con un paio di pinzette e tutte le cure del caso, sistemavi e catalogavi i francobolli, spiegandomi alcuni dettagli tecnici per una corretta suddivisione e valutazione.

Man mano una infinità di ricordi si sono accavallati nella mia mente con un turbinio inarrestabile.

Ricordo la casa dove sono nato. Io – primogenito – e i miei due fratelli, Franco e Renzo. Poco più di 40 metro quadrati dove vivevamo noi cinque in una stanza, zio Ubaldo con moglie e due figli in un’altra stanza, zio Mario, scapolo, nel corridoio e nonno Nazzareno in cucina. Un bagno per tutti e… fine della casa.

La sera noi eravamo costretti ad andare a letto tutti assieme perché, abbassata la brandina dove io dormivo, la porta non si poteva più aprire. Mio fratello Renzo, il più piccolo, finché è stato possibile dormiva nell’ultimo cassetto del comò. Dopo ha divi so il letto con mio fratello Franco. Ma i soldi che entravano a casa erano pochi e in quel modo si dividevano le spese e si tirava avanti abbastanza tranquilli.

Questo finché non ci colpì la grave disgrazia. La tragica morte di Franco, che aveva poco più di otto anni (un anno e mezzo più piccolo di me), che ti costrinse in poco tempo a cambiare casa per non vedere impazzire Mamma già scossa dalla tragedia. Io avevo compiuto da poco 10 anni.

Però in questo modo dovevi affrontare da solo tutte le spese di casa, e con il tuo stipendio Mamma non riusciva ad arrivare alla fine del mese e la sera tardi, spesso, sentivo le vostre discussioni e i litigi per i soldi che non bastavano.

Io, per completare le elementari nella stessa scuola dove avevo iniziato, uscivo la mattina molto presto per prendere l’autobus a tariffa ridotta e dopo facevo più di un chilometro a piedi per raggiungere la scuola.

Da sempre e fino a oltre 17 anni gli indumenti che indossavo erano quelli che smetteva il figlio di una tua collega, che era un anno più grande di me e della mia stessa struttura, e quelli che mi passava mio cugino Roberto, più grande di me.

A 11 anni, iniziando l’avviamento professionale vicino casa, mi sono cercato un lavoro per il pomeriggio, fino alla sera. Fatta un poco di esperienza, dopo cena tornavo a lavorare. Quando finiva questo lavoro stagionale avevo altri modi per guadagnare quello che era possibile. I compiti e lo studio li facevo tra le tre e le quattro del mattino. In questo modo potevo procurarmi libri (di seconda mano), quaderni ecc. per non pesare sul tuo già magro stipendio.

Riuscivo anche a dare qualche spicciolo a Mamma, ma erano sempre pochi.

Quando avevo 12 anni è nata Franca, alla quale ho fatto anche un po’ da padre, tenuto conto che Tu uscivi presto al mattino e tornavi tardi. Dopo l’allattamento anche lei è entrata nel circolo delle ristrettezze e per lo svezzamento farina bruscata in padella, latte e un po’ di zucchero.

I giocattoli non esistevano per nessuno. Il suo divertimento? Quando le cantavo “ma lo sai che tu, sei l’amore mio” oppure le mettevo un fazzoletto in testa, legato al mento, e le facevo fare la “fanatica”. Il massimo era quando la portavo in bicicletta sul seggiolino.

I nostri debiti erano soprattutto nel negozio di generi alimentari.

Completati gli studi di avviamento professionale mi hai posto la fatidica domanda, se volevo continuare gli studi. Mi sarebbe piaciuto, ma conoscendo le condizioni in cui versavamo e l’impegno economico a cui si andava incontro ti ho detto di no. Mi hai risposto: “Meno male, altrimenti mi sarei suicidato”.

Queste parole che potevano sembrare esageratamente fuori luogo, senza senso e banali, ai miei occhi hanno dimostrato la finezza della tua intelligenza e quella profonda umiltà che ti hanno sempre contraddistinto. Sì, perché hai voluto dirmi che ti sentivi responsabile per non avermi potuto dare questa possibilità e nello stesso tempo mi ringraziavi per averti evitato l’umiliazione di un diniego.

Nello stesso momento ho giurato a me stesso che avrei messo in atto tutte le mie capacità fisiche e intellettive per fare in modo che, una volta creata una mia famiglia, non le avrei fatto mancare nulla e nello stesso tempo fugare da te ogni possibile senso di colpa.

DIO, QUANTA FAME!

Ricordo Mamma che mi raccontava che durante la guerra venni colpito da tifo e paratifo. Per gli eventi, le medicine scarseggiavano ed erano poco efficaci. Lei, per farmi abbassare la febbre che rasentava i 42 gradi, mi immergeva in acqua tiepida e man mano aggiungeva acqua fredda. E’ arrivata a farmi 21 nottate consecutive. Nei momenti di massima crisi ho ricevuto 7 volte l’estrema unzione. Poi, come volle Dio con l’arrivo degli americani, il professore che mi curava procurò le medicine giuste.

Quando iniziarono i bombardamenti su Roma, Tu, dalla torretta del forte, ti sei reso conto che erano vicino alla casa dove abitavamo. Hai preso una bicicletta e, passando sotto i bombardamenti, sei venuto a sincerarti che noi fossimo al sicuro nel rifugio. Una volta controllato che stavamo bene, sempre sotto i bombardamenti, sei ritornato al tuo posto al forte.

In occasione della tragica morte di Franco hai messo da parte il tuo dolore per cercare di essere vicino e confortare Mamma, che era al limite della pazzia per il dolore, e rassicurare noi con la tua presenza e le tue parole.

Una volta sei stato colpito da una fortissima colica renale e, quando di notte il dolore è diventato insopportabile e urlavi nel letto, io, che avevo poco più di 12 anni, in pieno inverno, sotto la pioggia, alle due di notte, con la tua bicicletta e la ricetta in tasca, in giro per Roma a cercare una farmacia aperta per prenderti la morfina che potesse alleviarti il dolore.

DIO, QUANTO AMORE!

Ti ringrazio infinitamente per tutto quello che materialmente non mi hai potuto dare, perché non mi è mancato.

L’amore rendeva superfluo tutto il di più di quello che avevo. E questo è stato un forte stimolo che mi ha guidato per il mio futuro e poter mantenere la promessa fatta a me stesso.

Ricordo che, da poco trasferito a Catania dalla mia società come direttore alle vendite del sud Italia e isola di Malta, il tuo direttore mi chiese un incontro a Roma e mandò te, ufficialmente, come autista della sua società e suo personale, a prendermi all’aeroporto. Nel momento in cui ci siamo incontrati, dai tuoi occhi traboccava uno sguardo così pieno di orgoglio che gli spazi circostanti non riuscivano a contenere e rendeva insignificanti tutti i miliardi del mondo.

In quel momento capii che avevo vinto la mia seconda battaglia.

Ma fra le tante cose che mi hai insegnato, alcune di queste (per il mondo) sono diventate insignificanti, prive di senso e assolutamente fuori tempo. Per esempio:

  • l’ORGOGLIO e la LEALTA’, vengono espresse all’occorrenza per prevaricazione, convenienza e proprio tornaconto.
  • Il RISPETTO e la DIGNITA’, fanno sempre parte del vocabolario, ma hanno cambiato il significato. Oggi vengono utilizzati soltanto per risuolare le scarpe in moda da essere calpestate a ogni passo.
  • L’AMORE, nel tempo fino a oggi, l’amore ha subito una scissione e quello comune, che va di più, ha mille sfaccettature: ipocrisia, falsità, finzione, interesse, raggiro e fango. Tanto fango maleodorante fino a ricoprirti e devi annaspare per riuscire a tenere fuori la testa e guardare le stelle che brillano in Cielo.

Ma quello che mi hai insegnato Tu è Amore con A maiuscola, che ha le radici profonde nell’Anima ed è sta alimentato nel tempo da PRIVAZIONI, SOPPORTAZIONE, SACRIFICI, DOLORE, SOFFERENZE e più volte RISCHIO DELLA VITA e niente e nessuno riuscirà mai a scalfire.

E io ti ringrazio infinitamente anche di questo.

MA SIAMO TUTTI NELLE MANI DI DIO – SIA FATTA LA SUA VOLONTA’.

Prima di richiudere la valigia voglio cantarti una ninna nanna.

Quella ninna nanna che un tuo soldato, in piena guerra, saputo della mia nascita ha scritto a te per me, sulle note del Silenzio Militare (ricordo solo la prima parte).

“Amor, mio tesor,

dormi e sogna nel tuo candido lettin,

papà veglierà,

con amore sarà sempre a e te vicin”

PAPA’, DIO QUANTO TI AMO!

Chiudo la valigia, ci vediamo presto.

Ciao Papà.

Mauro

4 risposte a "Per nonno Davide"

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  1. Mannaggia ….mi fate sempre piangere . E’ bellissimo il racconto come il rapporto tra padre e figli fatto di silenzi pieni di parole . Come sempre grazie per le riflessioni che ci fate fare .

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